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In visita alla mostra di Max Ernst

MAX ERNST – PALAZZO REALE, MILANO
a cura di Martina Mazzotta, Jürgen Pech
fino al 26 febbraio 2023

Con una ricca retrospettiva di oltre 400 pezzi, suddivisa in 9 sale, Milano rende omaggio al seducente enigma Max Ernst, sperimentatore versatile, inventore di diverse tecniche fra cui il frottage, fumage, grottage e decalcomania, anticipatore non solo di molti tremendi avvenimenti esplosi nell’Europa del ‘900, ma anche del dripping di Jackson Pollok

Prima di uscire per andare alla mostra, chiedo a Pablo che cosa farebbe negli intricati paesaggi di Max Ernst, quale strano animale preferirebbe inseguire, visto che si tratta in prevalenza di volatili e Loplop è, fra l’altro, l’alter ego dell’artista. Quando nomino Pablo non mi riferisco a Picasso come ad un primo momento potrebbe sembrare, quanto al gatto dell’amica che mi ospita qui a Milano. Ernst li amava moltissimo e affermava: “mi piacciono i gatti selvatici che cacciano gli uccelli, scorrazzano per le strade come un matto, trascinano tutto ciò che ottengono”. Oggi è anche l’ultimo giorno della Biennale, il cui titolo, Il latte dei sogni rimanda non solo al nutrimento, ma al libro di favole e racconti per bambini scritti da Leonora Carrington, artista surrealista che è stata un grande amore di Ernst. Protagonisti anche in questa pubblicazione sono gli animali e soprattutto le ibridazioni fra essi e l’uomo, il concetto di trasformazione, trasmutazione e visione. Questo è stato il Surrealismo. Un movimento condito non solo dai sogni ma alimentato anche dalla nascente psicanalisi, commisto con il Dadaismo e la Metafisica che lo hanno preceduto, ma anche con i mondi alchemici di Bosch — esposto fra l’altro sempre qui a Palazzo Reale —, con i componimenti di frutta e verdura dell’Arcimboldo, come pure (e questo forse vale di più per le artiste presenti nel gruppo), con il mondo celtico e quello Maya, con la Cabala e la magia, con Virgilio e Dante e molto altro ancora. La Carrington, fu fra l’altro anche maestra spirituale di Alejandro Jodorowsky al quale insegnò, quando ancora era molto giovane, a leggere i Tarocchi dicendogli semplicemente che “il Tarocco è un camaleonte”.

Un camaleonte, che forse ci potrebbe ricordare quell’Angelo del focolare goffo e tremendo esposto nella penultima sala.

Proseguendo in queste stanze così fitte, dall’allestimento asfittico come le foreste dell’autore presente in mostra, capita anche di intravederla, lei, Leonora. È in mutande, all’aperto e sta fumando. Gli occhi sono chiusi con lo sguardo volto all’interiorità, al sogno. Lee Miller l’ha immortalata in una delle foto più belle con Max. Lui è al suo fianco e le copre i seni con le mani formando quasi un cuore al di sopra del suo. È l’unità del tutto, del maschile e del femminile, del Rebis Androgino, di quell’amour fou tanto caro ai surrealisti. Un amore convulso, così come doveva essere anche la bellezza. Un amore estremamente erotico e passionale. Siamo nella sala quattro, che non a caso si intitola Eros e Metamorfosi ed è rappresentata dal celebre Bacio proveniente dalla Fondazione Guggenheim di Venezia.

L’opera, che incombe nello spazio centrale e cattura tutta l’attenzione è un omaggio, prima che a Picasso, alla Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino di Leonardo, attentamente analizzata anche da Freud. Nel suo saggio Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, del 1910 egli giunge a sostenere non solo che il dipinto racconti del suo essere figlio illegittimo, quanto la sua “omosessualità passiva”. Anche qui, come in Ernst, è sempre un uccello a trarre in inganno. Un avvoltoio o un nibbio (che l’artista surrealista sostituisce all’agnellino), che si cela e va dunque ricercato nel profilo della veste della Sant’Anna. Questo animale ci porta nell’Antico Egitto, nella terra degli alchimisti. Ci conduce a Mut, la dea egizia rappresentata dall’avvoltoio e la cui traduzione letterale è madre. Dall’altro lato, la coda del volatile, che termina proprio sulla bocca del bambino sarebbe il simbolo del pene e, di conseguenza, dell’omoerotismo di Leonardo. Molto si è parlato della sua sessualità che cercava di sublimare, mentre Ernst tendeva a sperimentare e per lui, ogni esperienza amorosa e carnale, portava ad un’evoluzione e andava vissuta. Questo è evidente nella sala precedente, ovvero La casa di Eubonne dove si ripercorre il menage à trois con Gala, divenuta poi moglie e musa di Dalì, e il poeta Paul Eluard, che lo stava ospitando. Alle pareti ritroviamo gli affreschi strappati che l’artista aveva realizzato nella camera di Cécile, figlia di Gala e Paul e che qui viene ricostruita. Anche la Carrington aveva decorato di mostriciattoli ibridati la sua casa a Città del Messico e fu proprio per rassicurare i suoi figli, spaventati, che pubblicò Il latte dei sogni. Quella Surrealista è una pittura di segreti, di codici nascosti, del non detto, come ne Gli uomini non ne sapranno mai nulla, opera altamente alchemica che richiama la figura del Rebis e delle nozze dei contrari: terra e cielo, sole e luna e uomo e donna. Dialogo che prosegue nelle sculture di stampo africano color argento poste all’interno delle teche o ne Il sesso di un angelo, dove in basso si intravede un pappagallo in gabbia. Come ho già più volte ribadito, Ernst era particolarmente affascinato dagli uccelli, tanto da affermare di essere nato da un uovo di aquila che sua madre aveva messo in un nido.

È a partire dagli anni Trenta che nella sua opera appare Loplop, un pennuto metamorfico con cui si identificava e che diventa metafora del volo ma anche della gabbia dalla quale ci si deve liberare. Il volo, ma in questo caso quello di una mosca (Giovane uomo intrigato dal volo di una mosca non euclidea, assente in mostra), diventa anche il pretesto per inventare un’altra tecnica, poi adottata da Jackson Pollock, ovvero il dripping e qui visibile ne L’anno 1939. Se quest’ultimo di questa pratica ne farà quasi una danza, dove il corpo e i suoi movimenti ispirati ai riti e alle danze degli Indiani d’America sono sicuramente più importanti dell’opera stessa e la processualità in arte inizierà a diventare protagonista, Ernst per quanto suggerisca di usare tutto il corpo è più statico e non entra in modo fisico dentro la tela. “Legate un barattolo di latta vuoto a una corda lunga uno o due metri”, afferma, “praticate un piccolo foro sul fondo e riempite il barattolo di colore liquido. Fate oscillare la lattina sopra una tela distesa orizzontalmente, guidandola muovendo le mani, le braccia, le spalle e tutto il corpo. In questo modo la tela si ricoprirà di linee sorprendenti. A quel punto può iniziare il gioco di associazioni di idee”.

E le sale successive I quattro elementi, Natura e Visione, Il piacere di creare forme. Il piacere dell’occhio, Memoria e meraviglia e l’ultima Cosmocrittografie rappresentano l’apoteosi di queste associazioni, sovrapposizioni e sperimentazioni con immagini tratte e rimodellate ancora una volta dalla natura e da manuali di botanica, zoologia, medicina. Frammenti di corpi, in particolare gambe, braccia, orecchie e soprattutto occhi vanno a formare nuove anatomie e simbologie. Quell’occhio, simbolo del vedere che ci riporta al frame iniziale del Chien Andalou di Luis Buñuel e Salvador Dalì. Un occhio di donna tenuto aperto e brutalmente tagliato da un rasoio che mostra allo spettatore che cosa avverrà nel futuro prossimo grazie al Surrealismo e come si modificherà la visione. Fra le opere, i libri e gli oggetti che si moltiplicano di sala in sala, spiccano L’angelo del focolare, Un orecchio prestato, Figura zoomorfa. E ancora, Monumento agli uccelli, dove ritorna sia l’azzurro intenso e spirituale del Blaue Reiter, sia il blu di Mirò che diceva, “ceci est la coleur de mes rêves” (questo è il colore dei miei sogni).

Il colore dei sogni, il colore preferito dalla maggior parte delle persone, quello della malinconia e, a quanto pare quello percepito da tutti. In tempi più recenti si scoprirà infatti che anche i non vedenti hanno un recettore speciale in grado di percepire la luce blu. Nella sala dedicata al piacere delle forme e della visione emergono, all’interno di teche al centro della sala, delle opere quasi sconosciute. Si tratta di medaglioni in oro e piatti in argento — questi ultimi realizzati proprio a Milano —, sulla base di schizzi dell’artista dove si intravedono becchi-naso che sicuramente hanno molto affascinato anche Gino De Dominicis e che ancora una volta riconducono all’Egitto e al processo alchemico. Se il fantasma di De Chirico è stato presente fin dalle prime sale, accogliendoci con l’inquietante Edipo re del 1922, che già univa metafisica, dada, surrealismo e psicanalisi, la presenza del segno grafico, dei pittogrammi e della forma geometrica delle ultime sale ci fa ripensare ai mondi leggeri di Paul Klee.

Se nell’Edipo l’artista, dopo aver staccato la testa dal corpo sembra volerne estrarre anche il cervello, rappresentato metaforicamente dalla noce chiusa e trafitta, per comprenderne il meccanismo e liberarlo da esso, la riflessione ‘kleeiana’ sul cosmo e sulla natura si avvicina maggiormente alla spontaneità e al naïf.

Alla spontaneità fortemente ricercata dagli artisti nella follia, nell’arte negra e primitiva. E nell’infanzia, dove lo sguardo è volto con stupore in alto, al cielo, alle metamorfosi delle nuvole e alla brillantezza delle stelle così da poter esprimere continui desideri e viaggiare in altri pianeti. Pochi anni dopo la realizzazione di queste opere, datate 1965, l’uomo sarebbe sbarcato davvero sulla luna. Pochi giorni dopo aver visitato questa mostra a Milano mi sono recata a Parigi. Ho fatto di nuovo visita a Max al Père Lachaise, un cimitero, come molti cimiteri parigini, abitato da diversi gatti e altrettanti, inquietanti corvi, simbolo della nigredo, prima fase del processo alchemico che indica la putrefazione, la decomposizione di tutto ciò che ci teneva in gabbia. Un primo passo verso quella liberazione tanto ambita da Ernst stesso.

Di Eva Comuzzi

Mostra visitata il 27 novembre 2022

DIDASCALIE OPERE

1. L’angelo del focolare, 1937, olio su tela, collezione privata

2. Lee Miller, Max Ernst e Leonora Carrigton, 1937

3. Il bacio, 1927, olio su tela, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

4. Sant’Anna con la Vergine, il bambino e agnello, 1510-1513, olio su tavola, Louvre, Parigi

5. Gli uomini non ne sapranno mai nulla,

6. Donna, 1960, 2/6, argento, Collezione privata Stoccarda

7. Il sesso di un angelo, 1968/69, collage a olio su tavola, Collezione privata

8. Giovane uomo intrigato dal volo di una mosca non euclidea, 1942-47, olio e smalto su tela, Collezione Ulla e Heiner Pietzsch, Berlino

9. L’anno 1939, 1943, olio e smalto su tela, Collezione privata

10. Jackson Pollock, dripping

11. Monumento agli uccelli, 1927, olio su tela, Museo Cantini, Marsiglia

12. Edipo re, 1922, olio su tela, Collezione privata, Svizzera

13. Veduta della mostra

14. Veduta della mostra dettaglio teche con medaglioni