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TRANSUMANZA: SOLO UNA QUESTIONE DI PECORE?

Un futuro che non porta con sé i valori e l’esperienza del passato si configura come un’architettura totalmente priva di solide fondamenta. Ci sono tradizioni e rituali sulle quali l’umanità ha poggiato per secoli le proprie basi e che oggi purtroppo rischiano di finire negli album dei ricordi, destinati solo a prendere polvere.

Eppure, fra queste tradizioni, ci sono pratiche che racchiudono in sé profondi insegnamenti che dovrebbero farci riflettere sulle relazioni e le connessioni che intrecciano e disegnano il tessuto della vita su questo pianeta.

Una di queste pratiche è senza dubbio la transumanza, una modalità tradizionale di allevamento che consiste nel muovere gli animali, solitamente pecore, capre o bovini, dalle zone di pascolo invernale a quelle estive e viceversa, lungo percorsi che hanno secoli di storia, vie erbose dette “tratturi”, che attraversano altipiani, valli e intere montagne.

In Italia la transumanza è stata praticata per moltissimo tempo e ha giocato un ruolo fondamentale sia a livello economico che culturale, soprattutto nelle regioni montuose, aree in cui però, ad oggi, è stata in molti casi abbandonata.

Ma che senso ha parlare di una pratica ormai in disuso, salvo qualche rara eccezione, in una società dove si va sempre di più trascurando la relazione uomo-natura-animale?

La pratica della transumanza non è soltanto qualcosa di folcloristico o un bel ricordo dei tempi passati e celebrarla, come ha scelto di fare il Comune di Lecco dedicandogli una mostra, va ben al di là del semplice intento di ricordare la tradizione di una comunità locale.

Insita in questa pratica ci sono molti valori da cogliere e da recuperare.

Il primo valore ha a che fare con il senso di identità e appartenenza che caratterizza una comunità, dato che questa attività ha da sempre rappresentato l’occasione non solo di contatto fra i vari pastori e di scambi commerciali, ma ha consolidato veri e propri riti sociali.  

L’arrivo dei pastori e dei malgari in paese, accompagnati dal loro gregge, era infatti accolto con una grande festa e tutt’ora ci sono località, soprattutto del Trentino, che conservano ben viva questa tradizione. È un momento di comunione e di aggregazione che rappresenta un importantissimo collante sociale. Questo restituisce ed evidenzia l’importanza del ruolo dei riti e delle tradizioni in un mondo nel quale è esaltata e incoraggiata ogni forma di individualismo e dove l’isolamento sociale permea il tessuto della società.

Ho avuto la fortuna di provare l’esperienza di essere letteralmente inghiottita da un gregge di pecore proprio mentre mi trovavo nella mia auto lungo una via del centro di Lecco. Subito mi è stato restituito il valore della lentezza, in una città della Brianza che ha come prerogative la velocità e il continuo fare, che ormai sembrano pervadere ogni suo abitante.

Sostare immersi in questo avvolgente fiume di lana bianca mi ha portato alla mente un altro paradosso della nostra realtà: la lana ricavata dalla tosatura delle pecore, anziché rappresentare un’enorme ricchezza, diviene un problema, un prodotto di scarto da smaltire che più nessuno è disposto ad acquistare. Peccato però dover poi constatare che la lana che si lavora in Italia arrivi tutta dall’estero: assurdità di un futuro che avanza sotto una logica puramente economica e utilitaristica.

Transumanza vuol dire anche relazione tra uomo e animale. Quella tra pastore, pecora e cane è un’intesa del tutto paritaria, dove l’animale non è un oggetto bensì un soggetto, al quale rivolgere cura e rispetto. L’animale può scegliere la propria dieta tra svariate specie di piante e vive libero per la maggior parte dell’anno, impedendo tra l’altro il degrado dei pascoli, altrimenti colonizzati dai boschi.

In questa pratica la Natura impone i suoi tempi: meravigliosa la foto in cui le pecore, lungo il tragitto per le vie cittadine, si soffermano a brucare la siepe di recinzione di un condominio, del tutto incuranti del blocco prolungato del traffico che involontariamente creano. Il pastore le lascia agire, ricordando agli automobilisti, costretti a questa sosta forzata, quanto il mondo non necessariamente debba girare solo in base alle esigenze degli esseri umani.

La transumanza riveste anche un ruolo importante nella riflessione sulla relazione che l’essere umano ha con gli ecosistemi, a tal punto da aver ottenuto il riconoscimento dell’Unesco fra i Patrimoni Culturali Immateriali dell’Umanità. Questo metodo di allevamento del bestiame ha permesso non solo di sfruttare al meglio le risorse naturali a disposizione, ma ha saputo contribuire in maniera rilevante a mantenere la biodiversità e la varietà degli ecosistemi, favorendo la conservazione della flora e della fauna autoctone. L’attività pastorale mantiene viva la montagna e si prende cura del paesaggio. I pastori transumanti divengono quindi custodi di una approfondita conoscenza dell’ambiente e dell’equilibrio ecologico tra uomo e natura.

È singolare che l’idea della mostra sulla transumanza esposta alla Torre Viscontea di Lecco, visitabile dal 20 aprile al 19 maggio 2024, abbia avuto origine da un progetto fotografico nato durante il Covid, da parte di due fotografi, Stefano Pensotti e Carlo Sala.

“Da bambino – ha detto Pensotti – abitavo a Pescarenico e quando c’era la transumanza, le pecore mi passavano sempre sotto le finestre. Per me era una cosa normale, talmente normale che anche quando ho cominciato a fotografare non ho mai pensato di mettermi a fotografare le pecore. Poi, quando ho cominciato a girare il mondo mi sono messo a fotografare greggi un po’ dappertutto. Davvero, prima non mi era mai venuto in mente”.

Nel maggio 2020, dopo la fine del primo periodo di lockdown, i Galbusera, la storica famiglia di allevatori brianzoli, decise di portare in alpeggio in un solo colpo tutte le tremila pecore delle varie greggi.

Ed è proprio in quell’occasione che ha preso forma il progetto dei due fotografi lecchesi: ”Siamo andati avanti tre anni – ha spiegato ancora Pensotti -. Sala, che è lo sportivo, seguiva le greggi, io che sono un sedentario, mi appostavo in alcuni punti di passaggio significativi”.

”Era qualcosa di simbolico – continua Pensotti -. Quei primi giorni di covid ce li ricordiamo tutti. Si parlava tanto di immunità di gregge. E dunque… Non avevo voglia di fotografare le strade deserte con le mascherine per terra: lo avevano già fatto in tanti”. E allora le pecore, lungo strade deserte.

In effetti, durante le restrizioni del periodo Covid, come non ricordare con quale facilità e rapidità gli animali selvatici hanno invaso gli spazi cittadini. Una grande lezione che però l’essere umano sembra non aver colto: renderci conto che non possiamo dominare la natura e che arrogarci il diritto di farlo può rivelarsi un gioco molto pericoloso, soprattutto per noi umani.

Ecco che allora parlare di transumanza, dedicando una mostra a questa pratica millenaria, non è solo una questione di pecore e pastori, ma diventa un modo per aiutarci a recuperare un rapporto virtuoso tra uomo-natura-animale.

 

Elsa Roberta Veniani

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