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L’allegro chirurgo e le medicine di tradizione: integrazione possibile?

Il corpo umano: un insieme di pezzi?

Chi non ha mai giocato all’Allegro Chirurgo? Quando ero piccola adoravo questo gioco: mi piaceva estrarre ogni piccolo ossicino o organo dal corpo malato e pensare che poi il mio paziente sarebbe guarito… sì, questo semplice gioco rispecchia in pieno la visione che in Occidente abbiamo del corpo umano, di come funziona e di come possiamo “ripararlo”: dobbiamo occuparci dei singoli “pezzettini” che lo compongono, cercare di comprendere sempre più a fondo e sempre più nel particolare come funzionano o perché non funzionano più e poi intervenire sull’organo “intaccato dalla malattia” e ripararlo. Un po’ come andare dal meccanico. Ma è davvero così che funzioniamo? È davvero possibile “aggiustare” una parte per riportare l’intero alla salute?

La medicina scientifica ne è convinta: sostiene infatti che il funzionamento di un intero organismo è spiegabile e può essere compreso dall’analisi di come le diverse parti di esso si combinano, si assemblano e lavorano insieme. È per questo che assistiamo ad una progressiva e massiccia specializzazione, una sorta di “full-immersion” in una specifica e ben limitata area del sapere. Questo approccio si è dimostrato sicuramente valido in diverse applicazioni, sia scientifiche che mediche, ma  è davvero sufficiente?

Il pezzo mancante

La domanda potrebbe sembrare assurda visti gli enormi progressi, eppure è lecita se si considera il sempre crescente successo che le medicine di tradizione, le medicine popolari e le terapie olistiche e bioenergetiche stanno riscuotendo. Che cosa cercano le persone quando si rivolgono ad un terapista complementare? Cosa le porta ad uscire dai binari della medicina classica e a metterla in discussione?

Recentemente, tra gli scaffali della mia libreria ho trovato un libro che giaceva lì chissà da quanto tempo e che non avevo mai degnato di uno sguardo: si tratta del romanzo autobiografico di Tiziano Terzani Un altro giro di giostra. In esso il giornalista racconta del suo viaggio alla ricerca di una soluzione per la grave malattia che gli viene diagnosticata. Fin dall’inizio non ha dubbi: si affida alla medicina convenzionale e si sottopone senza esitazioni a sedute di chemioterapia. Ma qualcosa durante il percorso lavora in lui e Terzani scrive “Più stavo con la scienza e la ragione, più mi cresceva dentro la curiosità per la magia e la follia delle ‘alternative’ che avevo scartato dall’inizio. Non certo perché credessi di aver sbagliato strada (…), ma perché sentivo che quella strada, pur essendo probabilmente la migliore, aveva i suoi limiti e che altrove, percorrendo altre vie, potevo trovare qualcos’altro: non certo qualcosa di ‘alternativo’, ma forse qualcosa di complementare”. È così che al termine delle sedute di chemioterapia il giornalista parte per un lungo viaggio alla scoperta di questo qualcosa, che completi l’offerta della medicina scientifica.

Cosa offrono tali medicine complementari, di tradizione o naturali, quale parte dell’Uomo raggiungono, cosa muovono? 

La visione delle medicine complementari

 Queste pratiche terapeutiche sono spesso vicine alla natura, si basano sulle virtù curative della luce, dell’aria, dell’acqua, della dietetica e degli esercizi fisici e si avvalgono dell’azione benefica delle sostanze attive direttamente presenti nell’ambiente. Inoltre si appoggiano su metodi di cura psicosomatici e bioenergetici (quali per esempio la meditazione e il magnetismo curativo). Un principio fondamentale di queste medicine è quello di esercitare un’azione regolatrice sull’organismo, stimolando le capacità di autoguarigione del corpo stesso. 

 Alla base di questa visione terapeutica sta la concezione che nel corpo umano fluisce un’energia vitale che regola e dirige l’intera biologia materiale dell’organismo. Questa energia regolatrice è direttamente collegata alla psiche, agisce come un tutt’uno e sarebbe responsabile del mantenimento della salute. 

Un’alterazione seppur minima a questo livello darebbe luogo ai vari sintomi. La visione che ne scaturisce è quella di un essere umano che è più che un insieme di piccole parti, che è più della somma delle singole parti e che abbraccia la dimensione psichica e spirituale. È una concezione unitaria dell’esistenza e dell’universo che mette l’Uomo in comunicazione con qualcosa di più grande, di più vasto, che gli parla allo stesso tempo delle sue radici e del Mistero, del Sacro, lenendo in parte il bisogno ancestrale di comunicare con la parte non materiale di se stesso, con il Divino, con una Forza più grande che tutto pervade.

UNESCO e OMS e le medicine di tradizione

E proprio perché le radici culturali e le tradizioni sono una parte importante dell’essere umano e delle comunità, perfino la Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 16 luglio 2008 riconosce alle medicine di tradizione uno spazio importante, includendole proprio nel patrimonio culturale immateriale. Nell’art. 2 cap. 2 si legge infatti che il patrimonio culturale immateriale si manifesta nei settori delle tradizioni ed espressioni orali, nelle arti dello spettacolo, nelle consuetudini sociali, negli eventi rituali e festivi, nell’artigianato tradizionale e nelle cognizioni e nelle prassi relative alla natura e all’universo, come per esempio nelle conoscenze tradizionali mediche o agricole1

Nel Documento sulla Strategia dell’OMS per la medicina tradizionale 2014-2023 a questi saperi viene riconosciuta piena dignità e si auspica una loro integrazione attiva nel panorama delle cure. Nel testo si legge: “La medicina tradizionale (MT) è una componente importante e spesso sottovalutata dell’assistenza sanitaria. La medicina tradizionale o medicina non convenzionale in alcuni paesi è definita medicina complementare (MC). L’utilizzo della MT per il mantenimento della salute e per la prevenzione e la cura della malattia, in particolare della malattia cronica, ha una lunga storia. La Strategia dell’OMS per la Medicina Tradizionale per il 2014-2023 è stata sviluppata in risposta alla risoluzione dell’Assemblea Mondiale della Sanità sulla medicina tradizionale (WHA62.13). Nel sostenere gli Stati membri la strategia si pone i seguenti obiettivi: 

  • sfruttare il potenziale contributo della MT per il mantenimento della salute, per il benessere e per un’assistenza sanitaria incentrata sulla persona; 
  • promuovere l’uso sicuro ed efficace della MT attraverso la regolamentazione, la ricerca e l’integrazione nei sistemi sanitari dei suoi prodotti, dei suoi professionisti e delle sue pratiche, laddove appropriato.2

Medicina di tradizione: la risposta di una comunità alle malattie

Queste medicine tradizionali popolari sono presenti sul territorio da molto tempo e quindi sono impregnate di simboli e significati importanti per la comunità all’iinterno della quale sono nate. Prima della comparsa della figura del medico queste medicine erano la risposta di una popolazione per alleviare le malattie e affrontare i pericoli quotidiani. Esse erano basate sull’esperienza, inglobavano un sapere e un saper-fare nato dallo sperimentare, dal relazionarsi con le piante medicinali e con altri saperi terapeutici. Gli antropologi che si sono dedicati allo studio di queste terapie popolari le fanno risalire a comunità in cui erano presenti un’unità socioculturale – come per esempio la presenza di un dialetto comune – e un’unità economica e sociale. In questi nuclei la trasmissione del sapere avveniva esclusivamente oralmente e queste conoscenze venivano tramandate di generazione in generazione. Riscoprire e rivalutare queste conoscenze significa perciò anche ricollegarsi con le antiche tradizioni e con la forza e la potenza dei riti. Infatti le antiche culture e le tradizioni popolari non tracciavano linee di demarcazione o separazioni fra guarigione e connessione con il Sacro e così anche le medicine olistiche non hanno il focus sul fisico, ma abbracciano più dimensioni dell’Uomo visto che la guarigione spesso riguarda il ristabilirsi di un equilibrio fisico, sociale e spirituale. In questi ambiti si lascia spazio al sentire, che è anch’esso parte integrante della nostra natura. 

Le medicine di tradizione rispondono ad un bisogno dell’uomo moderno

L’uomo occidentale moderno sembra aver perso questa dimensione del Sacro, ma essa è in realtà un bisogno talmente profondo che sarebbe una delle maggiori spinte verso la riscoperta di queste medicine. Lorenzo De Caprio nel suo intervento La Crisi della Medicina: tra declino della scienza e ritorno della…Magia? sottolinea come i trattamenti da lui definiti “non ortodossi” stiano avendo un successo clamoroso in tutti i paesi occidentali e “la gente si rivolge alla medicina alternativa perché la considera coerente con i propri valori e la personale visione della vita (…) La colpa è di noi medici che (…) abbiamo generato conoscenza senza saggezza”3. Quella saggezza permette al medico di incontrare il suo paziente non come un oggetto di diagnosi, ma come persona con emozioni e sentimenti, paure e tristezze che vanno al di là del semplice sintomo fisico. Quella saggezza sembra essere stata smarrita dai medici moderni mentre è un elemento chiave delle medicine di tradizione: queste terapie complementari si aprono su una visione completa, olistica dell’individuo, guardando alla sua unità corpo-mente-spirito, con la consapevolezza che parte integrante di qualsiasi percorso terapeutico è la relazione armonica tra paziente e terapeuta. Questa relazione tra medico e paziente sembra mancare oggigiorno e sempre più il medico è visto come un tecnico specializzato che recita numeri e statistiche. Nelle medicine complementari, invece, si tende a leggere la salute secondo una visione complessa in cui gli aspetti fisiologici e medici si fondono con quelli psicologici, emotivi, spirituali, antropologici e perfino sociali. In questo modo il paziente si sente compreso, e non solo capito: si sente accolto, contenuto e poi accompagnato e sostenuto. Colui che si rivolge ad un terapeuta complementare lo fa per entrare in un’altra sfera e si apre come detto anche alla dimensione del Sacro. È soprattutto nei momenti di crisi che l’essere umano si rivolge a questa dimensione e ripone significato nel rito e nel rituale. Essi sono un ponte che collegano il passato e le tradizioni – fortemente ancorati nell’inconscio collettivo – al presente, essi toccano qualcosa di ancestrale, intuitivo e molto potente. 

NTE: Naturopatia Tradizionale Europea

Spesso quando si parla di medicine di tradizione o complementari il pensiero va alla Medicina Cinese o all’Ayurveda: siamo sempre tentati di cercare lontano, dimenticando invece le nostre tradizioni e le nostre radici. Anche l’Occidente ha una sua medicina tradizionale, il cui acronimo è NTE (Naturopatia Tradizionale Europea) e che è appunto il corrispettivo europeo di altre medicine naturali tradizionali, quali ad esempio la Medicina Tradizionale Cinese e la Ayurveda. 

La NTE ha avuto origine nella cultura mesopotamica tra il 4000 e il 3000 a.C. Un ulteriore ramo si è sviluppato a partire dal 2500 a.C. nell’antico Egitto. La NTE considera gli esseri umani come un elemento integrante dell’intera natura, motivo per cui l’esistenza e la qualità di vita di ogni singolo individuo non dipendono solo dalla soddisfazione dei suoi bisogni biologici fondamentali, ma anche dalla sua situazione costituzionale e dalla qualità del suo ambiente sociale, ecologico e mentale. I rimedi a cui la NTE attinge sono fitoterapici, minerali, metalli, prodotti animali, nosodi e autonosodi. Tra i vari trattamenti figurano la coppettazione, i salassi, il metodo di Baunscheidt, la terapia con le sanguisughe, i cerotti alla cantaride, terapie manuali (come il massaggio classico, il massaggio connettivale, il massaggio delle zone riflesse, il massaggio con le coppette e il linfodrenaggio manuale) e fisiche (come idroterapia, termoterapia, terapia con ultrasuoni, fototerapia e climatoterapia, ma anche movimento, sauna, inalazioni, o applicazione di argilla curativa).4

Il futuro: l’integrazione dei saperi

La strada da percorrere è quindi quella del recupero di questi saperi e della loro integrazione nella pratica medica convenzionale.

 

La visione puramente meccanicistica dell’essere umano è ormai superata e la Dottoressa Poli nel suo libro Anatomia della guarigione sottolinea come non si possa più negare l’importanza della psiche nei processi di malattia e di guarigione, come sia essenziale cercare nuovi metodi per sfruttare il potenziale della psiche di attivare il processo della guarigione, come le emozioni giochino un ruolo centrale nei processi di patogenesi e come al di sotto delle emozioni tutto sia energia e vibrazione.  Ciò “significa integrare tecniche di lavoro energetico, significa considerare il ruolo che ogni molecola introdotta nel nostro corpo ha sul sistema e sul suo equilibrio, significa anche recuperare alla luce della scienza le intuizioni delle pratiche di medicine antiche come quella Cinese, quella Ayurvedica, e le meno note Tibetana e Vietnamita. Si tratta di medicine che da tempi lontani non guardano alla malattia come ad un effetto di un attacco da parte di un agente patogeno o agli organi come a un insieme di pezzi separati tra loro, da riparare come si farebbe come i pezzi di un’automobile. Si tratta di medicine del terreno, ottime per lavorare sulla prevenzione della malattia, prima ancora che sul danno.”5

5 Poli, Erica Francesca, Anatomia della guarigione – I sette principi della Nuova Medicina Integrata, Anima edizioni, Milano, 2014, pp. 118-119.

Articolo di Chiara Allio Gisler